J. Edgar - La Recensione

Portare al cinema la biografia di un personaggio così complesso e sfaccettato come John Edgar Hoover, per circa mezzo secolo capo dell’ FBI, era sicuramente una sfida molto ardua da riuscire a mettere in pratica. Percorrere oltre cinquant’anni di storia americana, dal 1918 al 1972, rivelando quanto questa fosse stata letteralmente plasmata da una figura così incredibilmente tormentata, invulnerabile in pubblico, assai fragile nel privato ma comunque capace di trasmettere al suo paese un forte senso di stabilità e sicurezza, era un lavoro che alla base pretendeva la scrittura di una sceneggiatura pressoché perfetta in ogni suo piccolo dettaglio.

A “J. Edgar” le carte in regola di certo non mancavano affatto: dietro la macchina da presa il maestro premio Oscar Clint Eastwood, davanti la stella protagonista Leonardo Di Caprio e, allo script, il già premio Oscar per “Milk”, Dustin Lance Black. Una raccolta di grandissimi nomi per un lavoro che però non è riuscito a sfuggire da un risultato nettamente inefficace.

Il primo grande difetto, il più imperdonabile se vogliamo, da imputare a “J. Edgar” riguarda il trucco. L’invecchiamento dei personaggi appare distintamente innaturale, se quello di Naomi Watts è accettabile e quello di Leonardo Di Caprio non dei migliori ma in qualche modo passabile, a dimostrarsi assolutamente antiestetico è quello toccato al povero Armie Hammer. Un vero e proprio pupazzo di gomma, visivamente inguardabile, talmente posticcio da compromettere tutte le scene in cui è costretto a palesarsi. E sebbene questa possa essere “la caduta che non ti aspetti” di fronte a un film di Clint Eastwood, non è esattamente l’unico motivo per cui il suo ultimo lavoro non convinca del tutto. L'altro infatti riguarda proprio il ritratto del protagonista edificato durante il corso della storia. Un profilo mai sufficientemente accurato, inesaustivo, riconducibile a una figura dalle fattezze piuttosto chiare ma dai contorni notevolmente sfumati. E se questa parziale indefinizione potrebbe essere stata una scelta volontaria, poiché Hoover, di fatto, era ed è ancora un’entità colma di misteri, a livello cinematografico il mancato focus incondizionato su sull'Edgar uomo va a comportare delle conseguenze pesantissime sulla pellicola, le quali a loro volta vanno a gravare inevitabilmente in un calo di interesse da parte dello spettatore, trasformando il prodotto in una specie di documentario sulla nascita dell' FBI e su parte della storia Americana.

Fortunatamente qui entra in gioco la bravura dello sceneggiatore Dustin Lance Black, croce e delizia se vogliamo, che come in “Milk” è bravissimo a fornire una potente carica emotiva nelle scene in cui Edgar e il suo braccio destro Clyde Tolson si scontrano col loro inconfessabile amore omosessuale. Nei momenti dove l'umanità e i sentimenti fanno da padrone "J. Edgar" sprigiona tutta la sua massima empatia, scuotendo la scena specialmente in un paio di occasioni molto energiche dove il regista e gli interpreti, un buon Di Caprio e un bravissimo Hammer, hanno la possibilità di esprimere liberamente il meglio del loro talento.

La tanto attesa biografia su Hoover allora diventa facilmente catalogabile come un colossale corpo con poca anima. Minimamente convincente nella prima parte, in netta ripresa nella seconda e in caduta libera durante il dilatatissimo finale largamente ai limiti della sopportazione. L'effetto è una storia cinematograficamente troppo debole, con eccessiva carne al fuoco e incapace di restituire quelle sensazioni che l'Eastwood di un tempo sapeva distribuire al cinema molto più generosamente. Infine è opportuno consigliare di non vedere il film in lingua italiana visto che il doppiaggio, in questo caso, è un altro grandissimo difetto che andrebbe a sommarsi ad un’opera di per sé già abbondantemente incompiuta.

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