This Must Be The Place - La Recensione

Paolo Sorrentino nella sua pur breve carriera di sceneggiatore e regista, ha sempre amato raccontare storie di protagonisti tormentati, soli e in cerca di cambiamenti o risposte e “This Must Be The Place”, pur essendo la sua prima avventura americana, continua imperterrito sulla stessa lunghezza d’onda.

Il protagonista della storia è Cheyenne (Sean Penn), una ex rock star annoiata dalla vita che, dopo aver appreso della morte del padre è costretto a lasciare Dublino per intraprendere un viaggio che lo porterà ad attraversare gran parte degli Stati Uniti, alla ricerca di un ex criminale nazista per il quale suo padre, da anni, era entrato in ossessione.

Un Road Movie insolito, vittima passiva dei pregi e dei difetti del suo stesso regista. Sorrentino è tra i migliori registi italiani emersi negli ultimi anni, visivamente parlando è forse il migliore in assoluto, ma quando si tratta di riuscire a trasmettere emozioni, allora il discorso cambia completamente. La freddezza di Sorrentino è uno dei problemi principali della sua cinematografia, insieme a una presunzione spesso del tutto incontrollata, e in “This Must Be The Place” questo si percepisce enormemente andando ad influire sull’intera potenza del racconto.

Il ritorno alla vita di Cheyenne si vive con eterno distacco per l’intera durata della pellicola. Sono molte le situazioni in cui è possibile assistere a dialoghi e scene interessantissime e/o divertenti ma sono altrettante quelle in cui ci si concentra esclusivamente sulla visionarietà, lasciando lo spettatore sospeso all’interno della narrazione in momenti palesemente affascinanti ma di difficile sopportazione perché assai dilatati. Tecnicamente parlando la regia del film è esemplare, colma di scene meravigliose e ad effetto, di giochi di luce seducenti e condita di rado anche con pizzichi di grottesco che molto bene si adattano al personaggio interpretato da Sean Penn.
Un’interpretazione straordinaria la sua. Tra le migliori della carriera. Calarsi interamente in un personaggio del genere è roba esclusivamente da attori una spanna sopra gli altri. La cura con cui, nei particolari, Penn è riuscito a portare in vita il suo Cheyenne (ispirato, si dice, a Robert Smith, leader dei The Cure) dovrebbe essere studiata nelle migliori scuole di cinema e recitazione. Dal look dark alla voce delicata piuttosto che a una risatina ostentata e alle continue sbuffate sul ciuffo perennemente fuori posto. Un personaggio maschile che, specie all’inizio, si descrive ambiguo, quasi omosessuale, per nulla aiutato dalla moglie mascolina (pompiere di mestiere) e sessualmente sovrastante impersonata da Frances McDormand.

A curare le musiche di “This Must Be The Place”, elemento fondamentale sia della storia che del cinema di Sorrentino in generale, troviamo David Byrne, fondatore dei Talking Heads. Il lavoro di unione tra immagini e musica è decisamente tra le cose migliori della pellicola, insieme a un dialogo che Byrne scambia con Penn alla fine di un suo concerto in cui quest’ultimo svela i motivi per cui da vent’anni ha deciso di ritirarsi dalle scene.

Con meno divagazioni e un trasporto maggiore l’esordio americano di Paolo Sorrentino avrebbe avuto tutte le carte in regola per diventare molto di più di quello che invece è diventato. Il livello qualitativo è senza alcun dubbio ottimo, superiore alla media, ma le potenzialità di ottenimento potevano essere molto maggiori. In questo senso si potrebbe rimanere leggermente delusi, specie dopo aver visto uno Sean Penn in un così stato di grazia.

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