The Lady - La Recensione

Portare al cinema la storia vera di Aung San Suu Kyi, la birmana Premio Nobel per la pace impegnata da moltissimi anni a combattere nel suo paese per la difesa dei diritti umani, era sicuramente un potente pretesto per la realizzazione di una convincente storia ad alto tasso di drammatizzazione.

Il Luc Besson regista questo lo sapeva benissimo quando ha deciso tornare dietro la macchina da presa per firmare personalmente la regia di “The Lady”, lasciando temporaneamente in secondo piano la più recente e prolifica attività di produttore alla quale si è dedicato spesso negli ultimi anni.

Ma la rappresentazione “bessoniana” di una storia così straordinariamente incredibile, non impiega molto a mostrare, già nelle primissime battute, delle enormi sofferenze derivate da evidentissime lacune del suo stesso regista a trattare determinati argomenti. La storia fatica a trovare il giusto ritmo, arrancando sin dal principio anche sugli obiettivi da percorrere. Le intenzioni del regista francese di narrare gli eventi dal punto di vista prettamente umano della protagonista, mancano di molto il loro bersaglio. Il ritratto di Suu, donna forte, sensibile e pacifica, lo si comprende assai facilmente ma sono le modalità con cui esso viene sciorinato all'interno della trama a non essere affatto incisive. E’ troppo forte la sensazione di assistere a una storia strutturata in maniera troppo grossolana e superficiale, per niente in grado di trattare i suoi infiniti e delicati temi a disposizione in  un modo profondo ed efficace e, per di più, infarcita anche di fastidiosissima retorica.

Debolezze da cui non può sfuggire nemmeno la sceneggiatura di Rebecca Frayn, la quale, sebbene doveva attenersi fortemente a dei fatti realmente accaduti, presenta degli evidenti buchi di scrittura tutt'ora incolmati che lasciano alla rappresentazione di un paese vittima di un militarismo violento e oppressivo e all'interpretazione magistrale di David Thewlis lo scettro di unici elementi meglio riusciti dell'intera opera. Una misera consolazione se si considera la potenza nativa di un personaggio con una biografia travagliata come quella di Suu.

Luc Besson ha dimostrato in passato di essere molto bravo a gestire pellicole d’intrattenimento. Questa volta però, alle prese con la drammaticità (anche altissima in certi casi) sembra soffrire pesantemente la condizione, non riuscendo mai ad arrivare a toccare le corde emotive dello spettatore. Il ringraziamento per aver portato alla luce una storia di cui non tutti ancora potevano essere a conoscenza è d’obbligo, visto che sicuramente il film sarà un ottimo espediente per colmare l’eventuale vuoto, ma il rimpianto di non aver potuto vedere un storia del genere diretta da mani più all'altezza è molto grande, visto che probabilmente avrebbe potuto regalare frutti di maggiore qualità.

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